ARCHITETTURA E NATURA


from Alessandro Costa
13 Jan 2023

Nel dialogo di Eupalino Socrate a Fedro alludendo a una spiaggia:
“Proprio là trovai una di quelle cose rigettate dal mare, una cosa
bianca, d’incorrotta bianchezza. Polita, dura, dolce, leggera,
brillava al sole, sulla sabbia levigata, oscura e cosparsa di scintille;
la presi, vi soffiai sopra, la strofinai sul mio mantello, e la sua
forma singolare arrestò tutti gli altri miei pensieri. Chi ti ha fatto?
Pensai. Diversa da ogni altra, eppure non informe, sei tu il gioco
della natura, o cosa senza nome, a me giunta per invio degli dei fra
le immondizie ripudiate stanotte dal mare?”.
A Fedro, che gli chiedeva di quale materia fosse costituito l’oggetto,
Socrate risponde: “Della materia stessa della sua forma: materia di
incertezza. Era forse un osso di pesce bizzarramente consumato
dallo scorrere della sabbia fine sotto le acque; o avorio tagliato per
non so che uso da un artigiano d’oltremare?…”
(Paul Valery, Eupalino o dell’architettura, Lanciano 1932)

In questo dialogo tra due personaggi platonici, Socrate e Fedro, Valéry “reinventa” la figura di Socrate. Dicotomia che nasce dal dialogo e che fa da sfondo a tutta la narrazione, ovvero la conoscenza, le idee, modelli ideali, il costruire la ricerca delle forme e la realizzazione.

Questa forma di contrapposizione caratterizza tutto il dialogo platonico, dove Socrate intuisce di aver perseguito per tutta la vita un ideale fittizio che è prevalso rispetto a quello pratico, ovvero quello della creazione delle forme. Viene inoltre introdotta una sostanziale differenza  cioè una precisione sull'architettura, intesa come arte che ricerca la perfezione e l'armonia di oggetti creati dall'uomo e che può essere solo paragonata alla musica, essendo due arti affini che avvolgono l'uomo in leggi e volontà interiori. Musica: sottrazione grazie a una volontà interiore. Architettura: sottrazione grazie a movimenti. 

Eupalinos è l'architetto molto ammirato da Fedro e che viene ricordato con la citazione del tempio di Artemide Cacciatrice: “il mio tempio deve muovere gli uomini come li muove l’oggetto amato”, “nell’esecuzione non esistono particolari”, questi precetti di Eupalinos che Fedro cita a Socrate sottolineano, a volte in modo celato, la dicotomia conoscere–costruire e in questo preciso caso tra filosofo–architetto; interessante è il passaggio sulla ricerca della perfezione e armonia degli edifici, suddivisi dallo stesso Eupalinos in tre categorie: muti, che parlano e che cantano. La conchiglia: strano oggetto trovato da Socrate lungo la riva del mare, informe e bianco come pietra levigata dall’acqua; una conchiglia che immediatamente fa nascere a Socrate un ragionamento sugli oggetti prodotti dalla natura e quelli prodotti dall’uomo; i primi raggiungono un grado del tutto più complesso rispetto al grado dei particolari che lo compongono, mentre l’uomo fabbrica per astrazione cioè produce oggetti che nel loro insieme sono di grado inferiore a quello delle parti. Tridone il fenicio: marinaio che dedicò la sua vita al connubio tra teoria e prassi, era costruttore di navi e pensava che solo la conoscenza completa del mare (anche l’aspetto estetico) potesse conferire l’eccellenza alle sue navi. Un uomo saggio, libero e d’una strana molteplicità, riusciva a cogliere tutti i segreti che imparava e applicarli attraverso il metodo. Il Fenicio insegna come non basti imitare la natura per creare una costruzione perfetta. L’Anti-Socrate: rimpianto di Socrate per l’artista che ha lasciato perire in se stesso, giudicandosi in quell’eternità in cui è collocato insieme a Fedro; introduzione dell’Anti-Socrate, il costruttore, che si compie su di una visione cosmogonica imperniata sull’idea per la quale negli atti e nella combinazione degli atti si deve cercare la presenza del divino e il migliore impiego di quelle forze umane che sembrano destinate ad un oggetto che infinitamente ci supera.

L’architettura crea una “seconda natura” che svela “la natura prima sotto mille maschere” (Valery)

Il tempo grande scultore: la storia come “terza natura”.
Se l’architettura crea una “seconda natura” che svela “la natura prima sotto mille maschere” (Valery), il tempo, e quindi ancora la “natura prima”, trasforma a sua volta le opere dell’uomo in una terza natura…
“….Talune di queste modificazioni sono sublimi. Alla bellezza come l’ha voluta il cervello umano, un’epoca, una particolare forma di società, aggiungono una bellezza involontaria, associata ai casi della storia, dovuta agli effetti delle cause naturali e del tempo… Statue spezzate così bene che dal rudere nasce un’opera nuova, perfetta nella sua segmentazione: un piede nudo che non si dimentica, una mano purissima, un ginocchio piegato in cui si raccoglie tutta la velocità della corsa, un torso che nessun volto ci impedisce di amare…..”
(Marguerite Yourcenar, Il tempo grande scultore, Paris 1954)

Ma Che cos’è la “natura”?
André Corboz: “La sua doppia manifestazione di ambiente segnato dall’uomo e di luogo di relazione psichica privilegiata lascia supporre che la Natura, considerata sempre in occidente come una forza esterna e indipendente dovrebbe piuttosto essere definita come il campo della nostra immaginazione. Ciò non significa che essa sia stata infine addomesticata, ma più semplicemente che, in ogni civiltà, la natura è ciò che la cultura designa come tale. E’ ovvio che tale definizione si applica anche alla natura umana”.

La  perdita di controllo della natura, coincide con una insicurezza diffusa, transitorietà, solitudine, precarietà, assenza di agorà, di collettività. Tali disagi hanno in parte origine da un presupposto antropocentrico, superato poi dal potere della tecnica, condizione che ha causato la perdita del controllo dei risultati di procedure che hanno origini lontane nel tempo. Una riflessione che viene fatta da un sociologo, antropologo e filosofo francese come Latour dove in contrapposizione nel disinventare la modernità, parla di sostenibilità spostando l'attenzione dalla natura al mondo nella sua complessità. La natura nel nostro quotidiano non è più qualcosa da imitare o qualcosa a cui rapportarsi, ma coincide con la nostra stessa esistenza e le sue condizioni hanno corrispondenza con le nostre. Infatti oggi nella città non vige più l'ordine necessario della natura, che è ridotta a spazio recintato nel mondo artificiale della città e riesce ad esistere solo grazie all'assistenza della tecnica, che è la stessa che ha compromesso la natura come paesaggio abituale.(U. Galimberti, Tecnica e natura, saggio introduttivo in A. D'atri, Vita e artificio, Bur saggi, Milano 2008, pag.III.)

Il futuro paesaggio è come se fosse sprovvisto di un'immagine comune che possa essere guida degli architetti nella loro progettazione e che possa ispirare i futuri abitanti sulla idea di sostenibilità. Tenendo presente che la città non è un luogo dove la gente vuole stare, torna il desiderio a quello che la natura ci può donare, dalla città di Babilonia all'antica Roma alla Londra dell'Ottocento.

Il problema ancor più evidente che ci preme difendere per le metropoli sul cambiamento climatico ci porta a creare una realtà in cui crescono orti sui tetti, aree dismesse riconvertite a verde. Si sente molto forte l'urgenza di porre un rimedio al disastro imminente, cosa che fa parte del nostro essere animali urbani, ma sappiamo che siamo poco abituati a programmarci per la vita metropolitana. La città è una bellissima macchina che dà piacere. Come diceva benissimo tempo fa nel suo testo Yona Friedman "L'Architettura di Sopravvivenza", paradossalmente i "laboratori del futuro" sono le "Bidonvillage" per un mondo che scivola verso la povertà generalizzata.

Nei paesi poveri dove la natura favorisce (fino ad un certo punto) l'autoassistenza, sono estremamente estese:  Lima, Caracas, Citta del Messico, il Cairo o  Calcutta, diversi milioni di abitanti riempiono le bidonville, spesso molto più popolate della città borghese. 

Quello che possiamo evidenziare in tutto questo è che molte persone che abitano le bidonville sembrano che non esistono o esistono solo approssivamente, per esempio come elettori, ma non in quanto aventi diritto ai servizi comunali. I migranti sono loro che vanno e vengono, persone che frequentano queste grandi bidonville africane, che abitano oggi in un luogo con degli amici. E' una popolazione in realtà che sua malgrado nessuno è in grado di conoscere la cifra esatta di quante persone sono emarginate. Una massa amorfa di individui non può esistere, le persone si organizzano, si raggruppano formando delle tribù, dei clan, che in modo istintivo e per la totale impossibilità di agire non superano mai la grandezza dei gruppi critici. La natura stessa comunicativa impone e determina la dimensione di questi gruppi, che si denominano al loro interno bidonvillages. Esiste una netta diversità tra un villaggio rurale e una bidonvillages visto che in primo luogo l'agricoltura non è l'attività principale dei suoi abitanti. L'agricoltura nel bidonvillage, dove non si dispone di superfici sufficientemente grandi per produrre tutto il cibo necessario, può garantire solo una piccola parte della sussistenza. L'Architettura di sopravvivenza, il bidonvillage è l'essenza in cui gli abitanti spesso sono ancora ipnotizzati dalle promesse di prosperità che i governi fanno periodicamente,  gli alloggi, il lavoro, i servizi pubblici - tante promesse che non possono mantenere in modo soddisfacente su una scala così vasta. 

E' fondamentale anche in natura la diversità. Quando l'uomo tenta di imporre un ordine mentale i risultati possono essere affascinanti ma nello stesso tempo, anche imprevedibili, difatti le forme che si vanno a creare sono instabili, la natura è una sfida dove però nella ricerca va rispettata la sua libertà di essere. 

Per Paolo Portoghesi lo spazio della natura diventa anche spazio delle arti: "A volte la natura richiede delle aggiunte, nel mio caso, si è trattato della poesia. Ho voluto che il mio fosse un giardino letterario, poichè nulla è paragonabile al linguaggio nel tradurre chiaramente cosa si pensa". Anche il rapporto tra l'uomo e la terra viene descritto in forma biblica in maniera molto chiara: l'uomo deve sfruttare e allo stesso tempo coltivare come atto di amore per la terra.

L'identificazione uomo-natura  lo ritroviamo in alcuni passaggi del libro di Paolo Cognetti "Le otto montagne"e ci fanno riflettere molto bene sull'amore per la natura che è parte integrante di noi stessi: "Andare in montagna con Bruno non aveva niente a che fare con le cime. E' vero che prendevamo un sentiero, entravamo nel bosco, salivamo di corsa per una mezz'ora, ma poi, in qualche punto noto soltanto a lui, lasciavamo la strada battuta e proseguivano per altre vie. Su per un canalone, magari, o di traverso nel fitto degli abeti. Per me era un mistero come facesse a orientarsi. Camminava veloce, seguendo una mappa interiore che gli indicava passaggi dove io vedevo solo una riva franata, o una rupe troppo scoscesa. Ma proprio all'ultimo, tra due pini storti, la roccia rivelava una fessura su cui potevamo salire, e una cengia che prima non si vedeva ci lasciava attraversare comodamente. Alcune di quelle vie erano state aperte a colpi di piccone. Quando gli domandavo chi le avesse usate lui rispondeva: - I minatori, - oppure: - I boscaioli, - indicandomi prove che non ero stato in grado di notare. L'arrivo di una teleferica, sgangherato e invaso dalla sterpaglia".

Il tema di come affrontare la relazione  Architettura-Natura porta ad interrogarsi su cosa si intenda oggi per "Natura". Natura, tecnica,artificio,ecologia, sono oggi termini dai significati complessi che sconfinano l'uno nell'altro. "Aalto sostituì al modernista mito della macchina quello di una natura buona, accogliente, calma come le foreste e i laghi nei quali andava con la sua barca. Oggi il tema del
rapporto con la natura, in maniera più vasta "il paesaggismo", permea sì la ricerca contemporanea, ma la natura non è solo un controcanto
umano al mito industriale, ma una presenza estremamente più complessa e ambivalente (i frattali, il Dna, i movimenti
delle onde o i cumuli di sabbia, i terremoti, i salti di un universo in espansione). L'architettura d'avanguardia cerca in questo gorgo
nuove ragioni, cerca di farsi essa stessa paesaggio perché sa che senza una rifondazione non c'è domani per l'intero genere umano.
La natura non è solo aaltianamente madre, ma semplicemente, la chiave del nostro esistere" (In A. Saggio, L'onda lunga di Aalto, 21 Nov. 2000, in www.architettura.supereva.com/coffeebreak.).