Il Ventre dell'Architetto
Il linguaggio dell'architettura con le sue forme, armonie e disarmonie nel visibile spazio in cui si presenta
Comporre è come giocare a scacchi, bisogna pensare a lungo prima di fare la mossa d’apertura perché se non è corretta, se non è quella necessaria o, se non è quella che non fa parte di un ristretto numero di scelte, occorre ripartire da capo. Il pensare a lungo serve ad organizzare tutti i dati funzionali e le intenzioni formali in sintesi efficaci, in idee-forza dotate della capacità di informare di sé l’intero ciclo del progetto.
L’elaborazione dei singoli luoghi compositivi e quelli della ricerca paziente sono la base del lavoro dell’architetto. L’energia di cui egli dispone va incanalata, disciplinata e costruita, messa alla prova in pochi temi, con la possibilità di raggiungere dei risultati di una certa validità, che a loro volta altri architetti potranno far propri e migliorare. In realtà ciò che si cerca di mantenere intatto nel momento della formazione creativa è il talento naturale che potrebbe essere delle volte un ostacolo, ma chi però ne è dotato deve in qualche modo rinnegarlo, anzi distruggerlo per far in modo che sia nel tempo più duratura e consapevole la sua attitudine nella forma architettonica.
Il luogo architettonico è dove la forma e la razionalità delle costruzioni diventano un’alternativa alla crescita caotica e disordinata della città moderna, con i suoi elementi dominanti, in cui i riferimenti al paesaggio urbano esterno creano una scenografia persuasiva, resa oltremodo più visibile dalle emergenze dell’archeologia industriale preesistente nelle periferie ed anche in luoghi centrali nelle città con urbanizzazioni postbelliche. Tuttavia pensare che l’architettura si limiti a consigliarci su come usarla sarebbe un grave errore: forme, armonie e
disarmonie, voler ridurre tutto ad un mero codice funzionale sarebbe come pensare che nell’uomo la bocca indicherebbe di introdurre cibo, le mani la capacità di scrivere e di manovrare oggetti ecc. La difficoltà consiste nel considerare che non vi è nulla in architettura che rassomigli alla grammatica o alla sintassi del linguaggio comune, anche se per alcuni questo ruolo di sintassi lo hanno avuto ordini classici i quali stabilivano regole ferree per realizzare chiese, palazzi e monumenti pubblici.
Ciò che sta alla base di questo tipo di controllo è il convincimento che in architettura l’armonia delle parti può essere salvaguardata soltanto se tutti gli elementi di un edificio sono conformi a certi rapporti, costantemente connessi con tutti gli altri rapporti dell’edificio stesso. Tuttavia l’armonia che scaturisce da un codice specifico a cui fa riferimento, è qualcosa di assolutamente conforme alla natura e si avvicina molto all’uso degli ordini, che sono in se stessi esempio di composizione armoniosa.
La temporalità dello spazio, la reintegrazione edificio-città-territorio esprime l’atteggiamento aperto dello sperimentatore che non accetta gli schemi mentali imposti da altri e ogni volta riesamina, enumerandoli, i termini del problema. Occorre acquisire nuove dimensioni spaziali, spostare l’attenzione dai pieni ai vuoti, per i quali è molto più difficile pensare a un’organizzazione di tipo grammaticale; le strutture in oggetto esprimono il bisogno di utilizzare le tecniche più sofisticate che, proprio per il loro carattere di novità, mettono in crisi ogni consuetudine architettonica. L’accettazione della finitezza umana dello spazio nella temporalità, nella sua dimensione storica porta alla reintegrazione edificio-città esprimendo il carattere pubblico ed ecologico dell’atto progettuale, con buona pace di tutti i grammatici che vorrebbero pensare all’edificio come un oggetto in sé compiuto.
L’arte rifiuta ogni costrizione, anche quella debole imposta dalle regole di un linguaggio, se l’architettura parla lo fa a prescindere da tutto ciò, quindi il fine di ogni ricerca di una sintassi architettonica, analizzando in modo specifico grazie a un antico concetto segnalato dal critico inglese Kenneth Frampton, ovvero quello di tettonica è, in sintesi,
quella disciplina che studia la relazione tra i singoli elementi e l’idea strutturale sottostante l’intera costruzione, cioè quei meccanismi secondo i quali come diceva il filosofo Schopenauer “le forme dell’architettura vengono determinate anzitutto dalla funzione costruttiva immediata di ogni parte”. Ma l’architettura è un linguaggio? La risposta potrebbe essere: no, se intendiamo per linguaggio un sistema ben strutturato, definito e articolato quale quello della lingua parlata; sì, se intendiamo l’architettura come un sistema attraverso il quale alcuni messaggi vengono trasmessi a fruitori i quali, attraverso un processo di decodifica, li interpretano.
Per capire in maniera più chiara e concreta è opportuno a questo punto introdurre due parole: la denotazione e la connotazione.
In architettura esistono due livelli, denotativo e connotativo, infatti un trono denota la funzione di sedia, ma connota regalità, indipendentemente dalla comodità della seduta, mentre una porta invita a passare, ma l’ingresso principale di un palazzo rinascimentale connota valori connessi con l’importanza della famiglia.
Insomma in definitiva in ogni struttura architettonica di ciò che si vuol comporre, dietro al significato semplice di una parola, si nascondono concetti complessi, ed ogni oggetto, dietro all’indicazione del proprio uso, nasconde un universo di senso in cui esiste una regola che potremmo chiamare dell’accumulazione temporale, secondo la quale il valore di un segno è sempre strettamente connesso al significato dei segni che lo hanno preceduto.
Nessuna opera architettonica, neanche la più radicale e originale, può prescindere da una logica costruzione del linguaggio compositivo.
L'Architettura è Costruzione, il suo fine è dunque costruire, ma il problema centrale come ce lo spiega Franco Purini in "Comporre per Costruire", è quello di convogliare tutte le motivazioni che la fanno necessaria, tutti i materiali che essa coinvolge nel suo farsi e tutti gli strumenti che la producono sul tema della costruzione. Costruire non significa però pensare che si faccia solo per dare un senso tecnico come atto fine a se stesso ma è sopratutto artistico. "Un muro senza una modanatura, un segno, un accensione materica non è architettura" come scriveva Luigi Moretti (architetto italiano tra i più rilevanti del XX secolo).
Nel suo celebre dialogo Eupalino o l'architetto Paul Valery ha scritto che la complessità costruttiva dell'oggetto architettonico non è in alcun modo paragonabile a quella degli elementi naturali, i quali presentano un ordine costitutivo di gran lunga superiore. In realtà questo confronto non dovrebbe porsi. Così come la fotografia non riproduce la realtà ma ne crea un'altra, anche l'architettura determina una sua complessità che non può essere paragonata ad altre complessità, anche se possono esistere tra queste e quelle del costruire alcune analogie. Paolo Portoghesi nel suo "Natura e architettura",definisce che il costruire può essere infatti assimilato alla produzione di fibre, ovvero tessuti, orditure e trame nei cui interstizi si collocano spazi abitabili. In tutto questo bisogna tenere presente che ciascuno di questi aspetti è correlato con la scala umana, che sembra escludere nella definizione dell'oggetto architettonico sia l'immensamente grande sia l'immensamente piccolo.
Architetture declinate verso forme naturali, biomorfiche e non geometriche, ovvero forme architettoniche, come enunciato da Portoghesi, che sono analoghe a quelle naturali perchè dalla natura sono ispirate. Architettura e natura può essere declinato secondo un indirizzo materico-tipologico che privilegia il ricorso ai materiali che madre-natura ci offre.
Difatti la pietra, il mattone cotto, il mattone in terra cruda, il legno, l'acqua, come vedevamo nel De Rerum Natura, Lucrezio assume la tesi che tutto ha bisogno un primitivo germe di origine, in cui la vita si perpetua nell'eterna vicenda delle nascite e delle morti, ma la materia prima è indistrittubile e la morte di uno è la generazione di un altro.
Di conseguenza, comporre architettura, prosegue Purini, significa gestire un sistema complesso di variabili, muoversi entro campi metamorfici tra di loro correlati, controllare simultaneamente uno spettro di mutazioni diverse. Comporre è dunque effettuare una serie di mosse successive che restringono man mano il margine di variazione dei materiali interessati, fino a produrre una sorta di "equilibrio instabile".
Questo implica che in un dato problema progettuale le soluzioni che esso presenta sono più di una e che alcune parti che definiscono tali risposte possono essere differenti, ed in questa relativa indefinitezza si manifesta la precisione imprecisa dell'architettura.