La Bellezza dell'Arte a Km Zero ep.1

La Crocifissione è un dipinto a olio su tela di Lorenzo Lotto, datato al 1529 - 1534 e conservato nella chiesa di Santa Maria della Pietà in Telusiano a Monte San Giusto.


from Alessandro Costa
06 Aug 2024

LORENZO LOTTO 

CROCIFISSIONE 1529-34  (video)

OLIO SU TAVOLA 450 X 250  cm

Iscrizioni sul cartiglio “ LOT.LA  (…) ENTIVUS 15 (…)” ; sulla pietra ai piedi del vescovo “N.BONAFIDES EPISC/O/CLVSNINVS”

Monte San Giusto, chiesa di Santa Maria in Telusiano

Considerata da B.Berenson (1955) un capolavoro assoluto dell’arte di Lorenzo Lotto, la Crocifissione viene segnalata dal Maggiori (1832) che, in un manoscritto le ricerche anche in ambito marchigiano, a partire dalla segnalazione di G.Cicconi di un documento conservato nell’Archivio vescovile di Fermo.

Ai lusinghieri giudizi di Venturi e del Longhi ha fatto seguito una intensa attività di studio – attestata da una ricca bibliografia -  che ha aperto la strada a nuove indagini e a un dibattito critico che non ha mancato di sottolineare i debiti maturati da Lotto nei confronti degli artistici del suo tempo, di indagare i molteplici aspetti storici e iconografici, di rivalutarne i caratteri di oratoria sacra, per giungere ai giudizi del Berenson (1955) e di Paolucci (2009), che ha definito l’opera “un quadro più grande della chiesa”.

Gli esiti dei restauri condotti nell’arco di poco più di un secolo hanno fornito significative indicazioni in merito alla datazione dalla pala, che ancora conserva intatta la sua maestosa cornice lignea.

Se nel 1841 il De Minicis può affermare che “in un cartello a ruotolo posto ai piedi del quadro, leggersi a stento L. Lotto 1531”, aggiungendo che ciò era stato reso possibile quando “nel settembre dell’anno 1831 (…) essendosi posta ogni diligenza per nettarlo dalla polvere, apparvero quelle cifre”, il restauro condotto in occasione della mostra veneziana del 1953ha restituito al dipinto il suo originario tessuto cromatico, liberandone la superficie pittorica da estese ridipinture effettuate in data imprecisabile. L’intervento del 1981, indicato da Dal Poggetto come uno più importanti condotti in occasione della mostra, ha invece rivelato che la data 1531, considerata un punto fermo della cronologia dell’artista, non era originale, dato confermato anche dalle indagini diagnostiche del 2011 (Poldi 2011), che hanno dimostrato l’autenticità delle sole prime due cifre.

L’intervento di maggior rilievo effettuato nel 1981 ha la figura di San Giovanni, il cui abito verde cangiante era stato completamente ridipinto in nero, in maniera precisa e omogenea (risparmiando sia il volto che le mani, del personaggio), tanto da far supporre che potesse costituire un pentimento dell’artista stesso.

Il dubbio è stato però prontamente fugato a seguito della comparazione con la analoga figura del dipinto di Strasburgo caratterizzato dalla medesima tonalità.

Il ruolo fondamentale svolto nelle vicende legate alla Pala di Santa Lucia di Jesi da parte di Apollonio e Pierantonio Bonafede, entrambi membri della confraternita di Santa Lucia e autorevoli esponenti del ramo jesino  di quella famiglia, legittima l’ipotesi di un laro fattivo intervento anche nella commissione della Crocefissione da parte di Niccolò Bonafede che, già nel 1504, aveva ottenuto da papa Giulio II il giuspatronato sulla chiesa di Santa Maria in Telusiano.

A seguito dell’avvenuta conferma da parte del vescovo di Fermo dei diritti già acquisiti (1523) e del preciso obbligo di portare a termine entro quattro anni il rifacimento della chiesa stessa, il Bonafede potrebbe aver maturato la decisione di affidare la realizzazione del dipinto a Lotto, giungendo forse a formalizzarne la commissione nel 1525, quando l’artista si trovava a Jesi per riscuotere un pagamento per la Pala di santa Lucia.

La complessità dell’opera e le richieste del committente potrebbero aver motivato anche ulteriori incontri per presentare alcuni disegni, se non per effettuare un sopralluogo a Monte San Giusto, fondamentale per giustificare la coincidenza fra la fonte naturale di luce originariamente proveniente dalla finestra della chiesa, posta in alto sulla sinistra e l’illuminazione del dipinto, che ne replica la direzione.

Le analogie riscontrabili fra la Pala di Santa Lucia e quella di Monte San Giusto, stringenti assonanze fra i tratti fisionomici di alcune figure, così come la medesima tensione drammatica e i forti contrasti luministici comuni anche alla lunetta della Madonna delle Rose denunciano una comune esecuzione a Venezia.

Allo scadere del quadriennio concesso al vescovo Bonafede per portare a termine il rifacimento della chiesa, il dipinto doveva essere terminato a eccezione del ritratto del vescovo che, secondo pattuito doveva essere eseguito “dal vivo”. Un intervento che presuppone la simultanea presenza dell’artista e del committente – situazione impossibile prima della fine della fine dell’epidemia di peste che aveva colpito le Marche – fra l’autunno del 1528 e la metà del 1529.

Nella composizione dinamica e affollata della Crocifissione la figura del Bonafede sembra assolvere un duplice e contradditorio ruolo: quello di essere presente nel contesto figurativo e al contempo estraneo a quello narrativo. Posto in primo piano, ma al margine, il personaggio sembra osservare assorto la scena dello svenimento della Vergine, mentre il ruolo si sviluppa tutto il dramma terreno della passione morte del Cristo in croce.

Ad aprire un “reale” muto dialogo fra il committente e i personaggi della sacra rappresentazione è San Giovanni che, in quel suo volgersi verso il vescovo Bonafede, sembra invitarlo alla partecipazione dell’evento. In egual misura l’invito è replicato dalla figura angelica che, con l’atteggiamento e i gesti sembra spingere il Bonafede a una più intensa adesione e riflessione sul mistero del sacrificio della Croce e del dramma del Golgota – secondo le indicazioni dell’orazione mentale -. Introducendolo in una dimensione, dove il reale si confonde con le emozioni e la memoria e dove le immagini e le sensazioni vengono, interiorizzate, vissute nella propria coscienza.

Secondo Giordano (1999) per i dettagli figurativi Lotto trae spunto da fonti differenti che vanno dalla grafica di Durerai modelli nordici (la cui importanza è stata ribadita anche da Angelucci 2016), dai disegni di Jacopo Bellini alle opere di Gaudenzio Ferrari, del Pordenone e di Bernardino Luini. Affinità sono poi state riscontrate con il rilievo raffigurante la Crocifissione, presente nel sarcofago inferiore del monumento funebre di Bartolomeo Colleoni a Bergamo e con alcuni particolari del monumento funebre di Ludovico Euffreducci della chiesa di san Francesco (1527).

Con entrambi i personaggi Bonafede condivide l’autorevolezza e il prestigio e con quest’ultimo anche vicende biografiche. A seguito infatti dell’uccisione nel 1521 di Ludovico Euffreducci da parte dei soldati di Bonafede, il vescovo è sottoposto a continue persecuzioni che terminano solo nel 1531, con la sottomissione al pontefice della fazione ribelle.

Una ricchezza di richiami, suggestioni e derivazioni che forniscono la misura dell’impegno richiesto a Lotto per dare voce alle esigenze del vescovo che lascia spazio a un ulteriore piano di lettura dove l’evento religioso è metafora dei tragici episodi vissuti da Bonafede e dalle condizioni della chiesa del tempo.

Anche sotto il profilo espressivo l’opera non manca di dichiarare la sua complessità. 

La rappresentazione del cielo plumbeo, inusuale nel panorama pittorico del tempo, ma comune anche alla lunetta della pala della Madonna delle Rose, ha la funzione di aumentare il coinvolgimento del fedele nell’evento drammatico rappresentato: un “cielo che trasloca nell’eclisse, un cielo che il sole nero consuma”, una composta rappresentazione del dolore dove c’è “tragedia ma non disperazione (…) c’è verità ma non esibizione gratuita di realismo”, scrive Paolucci (2009).

Diverso clima si respira nella copia eseguita da Durante Nobili per la chiesa di San Francesco a Matelica, firmata e datata 1569, che sembra interpretare il modello del maestro in chiave melodrammatica, dove il trascolorare cielo di fondo, si fa colore piatto su cui si stagliano figure dai tratti troppo caricati e statici, ben lontani dal dinamismo e dalla concitazione lottesca (Petrangolini Benedetti Panici 1981). Di minore qualità pittorica appare la copia eseguita per la chiesa della carità di Tolentino, che Zampetti (1981) ritiene possa essere riferita a quel Giuseppe Belli da Postrenga, allievo di Lotto a Venezia e che l’artista portò con sé ad Ancona.

Bibliografia

Marina Massa

Lorenzo lotto "Il Richiamo delle Marche, luoghi, tempi e persone"

a cura di Enrico Maria Dal Pozzolo