Robert Capa il Fotografo delle Emozioni

“La guerra è come un’attrice che sta invecchiando ed è sempre meno fotogenica e sempre più pericolosa”.


from Alessandro Costa
28 Mar 2023
Robert Capa, Capucine modella e attrice francese al balcone Roma agosto 1951 Robert Capa, International Center of PhotographyMagnum Photo

 

Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernő Friedmann (Budapest, 22 ottobre 1913 – Provincia di Thai Binh, 25 maggio 1954), è stato un fotografo ungherese naturalizzato statunitense. Nasce in Ungheria da una famiglia ebrea che era proprietaria di una casa di moda e come bambino era molto vivace e rissoso al punto che l’appellativo di “Capa” che significa squalo in ungherese gli calzava perfettamente.

Steinbeck disse in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune sue foto, “sapeva cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato e la guerra non si può ritrarre, perché è soprattutto un emozione, anche se lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino”. Da ragazzo era stato arrestato per le sue simpatie comuniste, e appena fu rilasciato se ne andò via dalla sua terra natale alla volta di Berlino. Frequenta la facoltà di Scienze Politiche sognando di diventare giornalista, nel frattempo trova un impiego in uno studio fotografico, avvicinandosi al mondo della fotografia. Inizia a collaborare con l’agenzia fotogiornalistica di Simon Guttmann, e nel 1932 viene inviato a Copenaghen per fotografare Lev Trotsky.

Il nazismo comincia ad essere molto presente al punto che Berlino diventa troppo pericolosa quindi si sposta a Vienna, per partire poi alla volta di Parigi. A Parigi la difficoltà nel trovare delle occasioni di lavoro come fotografo freelance furono ridotte, ma l’occasione nel Cafè di Montparnasse di conoscere David Seymour ovvero Szymin fu importante perché gli diede l’occasione di conoscere un altro personaggio di notevole caratura nel suo proseguo di carriera, ovvero Henry Cartier Bresson.

Erano dei giovani fotografi di origini ed esperienze differenti, che si affacciavano in questo nuovo mondo che era la fotografia. Gerda Taro la compagna e fotografa riuscì a procurargli nell’agosto del 1936, un accredito stampa per documentare la Guerra Civile Spagnola ed insieme partirono per Barcellona. Il loro connubio creerà un po’ per sfida, un po’ per opportunità, il personaggio di “Robert Capa”, un fantomatico fotografo che arriva a Parigi per lavorare in Europa

Inizialmente la coppia utilizza lo pseudonimo “Robert Capa” per il suono che risultava più familiare all’estero ed in questo modo aumentano le commesse ed anche i guadagni.   Il marchio “Capa-Taro" fu  usato da entrambi fotografi, successivamente divisero la loro “ragione sociale” CAPA e quindi Endre Friedman adottò definitivamente lo pseudonimo  Robert Capa per sé. Gerda Taro nel 1937 muore nei pressi di Madrid in un incidente in cui rimane accidentalmente investita da un carro armato amico, e l’anno successivo Robert dedica un libro in omaggio alla sua amata, “Death in Making” che contiene le fotografie scattate da entrambi della Guerra di Spagna.

John Morris, il photo editor di Life che ebbe un ruolo importante nella storia del fotogiornalismo, perchè pubblicò soprattutto le foto realizzate nel 1944, durante lo sbarco in Normandia. Attraverso un piccolo libro "Robert Capa mi ha detto" racconta aneddoti divertenti e preziosi e ci fa capire come si lavorava nelle grandi riviste statunitensi in quell'epoca.

In quei periodi Morris racconta che nonostante l'ascesa di Adolf Hitler in Europa, Henry Luce – l’editore di Life, Time e Fortune –fosse cauto a prendere posizioni antifasciste per paura di dare spazio ai comunisti, di conseguenza i servizi fotografici sminuivano la minaccia rappresentata dai nazisti nella Germania degli anni trenta. In quel periodo Life non aveva nessun fotoreporter che copriva la guerra civile in Spagna, pubblicava le foto di un giovane freelance ungherese, che era proprio Robert Capa, che si era trasferito da Budapest dove era nato, a Parigi per cominciare una nuova vita.

Proprio insieme alla compagna e fotografa tedesca Gerda Taro documentarono il fronte spagnolo per tutta la durata del conflitto. Le foto erano apparse anche sul Picture Post, una rivista simile a Life ma britannica. Il 3 dicembre 1938 aveva pubblicato un lungo reportage di ventisei pagine intitolato semplicemente The greatest war photographer in the world (Il più grande fotografo di guerra del mondo). Nello stesso anno quelle foto diventarono un libro, Death in the making. Nonostante sia firmato solo da Robert Capa, nacque come progetto collaborativo a cui parteciparono anche Gerda Taro, David Seymour e André Kertész. In copertina c’è la foto più famosa di Capa, il miliziano colpito a morte. Scattata a Cordova, in Andalusia, nel 1936, coglie l’attimo in cui un soldato repubblicano cade per un proiettile sparato dai franchisti. Come scrive Richard Whelan, il biografo di Capa, si tratta di “un’affermazione potente sul dilemma dell’esistenza umana, in cui un uomo da solo è colpito da un nemico invisibile, come dal suo destino”

La sua foto famosa ed anche la più controversa del ”Miliziano colpito a morte”, rappresenta un icona del secolo scorso, ma quello che si è dibattuto è stato sulla sua autenticità, dato che per alcuni la foto fu preparata ad arte dallo stesso Capa, visto che lo scatto realizzato non sarebbe veritiero. Capa in un intervista radiofonica del 1947, raccontò in dettaglio come avvenne lo scatto, descrivendo che la foto la fece in Andalusia, mentre era in trincea con 20 soldati repubblicani. Le testuali  parole di Capa furono: ”Ero in trincea con venti soldati repubblicani. Correvano a ondate verso una mitragliatrice fascista. Al terzo o quarto assalto ho messo la macchina fotografica sulla testa, senza guardare ho fotografato un soldato che si spostava sopra la trincea. Questo è tutto”. Che sia autentica o meno, è diventata un simbolo per tutte le donne e gli uomini che hanno combattuto quella guerra. 

Quando avviene lo scoppio della seconda guerra mondiale Capa è a New York dove si è recato in cerca di lavoro e in fuga dalle persecuzioni anti-ebraiche. La guerra lo porta a toccare diversi teatri dello scenario bellico, fotografando per Collier’s Weekly per poi passare a Life, per la quale pubblicò immagini anche con la partigiana Simone Segouin durante la liberazione di Parigi.

Ci sono anche le sue memorie pubblicate nel 1947, oltre alle immagini, con il titolo Slightly out of focus, in cui Capa, fu fotoreporter al seguito dell’esercito americano. Riporta gli avvenimenti cruenti a cui assiste, racconta l’esperienza che vive insieme ai soldati, l’angoscia vissuta nei combattimenti, la sensazione di vuoto, in particolare proprio nelle settimane dello sbarco in Sicilia e della conseguente ritirata dei militari italiani e tedeschi.

L’essere in prima linea per Robert Capa risulta determinante al punto che il cercare di essere pronto come un soldato lo porta a lanciarsi col suo paracadute nella notte del luglio del ’43 a bordo di un piccolo aereo, con un manipolo di soldati, rimanendo impigliato su un albero, dove rimane sino all’indomani, quando gli altri tre paracadutisti che erano con lui lo trovano e lo aiutano a scendere. Capa racconta che scatta numerose foto lungo il percorso e dopo tre settimane dallo sbarco gli americani si avvicinano sempre di più al capoluogo dell’isola.

Ricorda che erano alla periferia di Palermo, i tedeschi erano stati circondati ed anche le forze italiane, oramai non avevano più intenzioni di combattere, quindi la situazione era tale che insieme ai soldati americani si percorreva la strada verso il centro della città, con decine di migliaia di siciliani in delirio che inneggiavano i soldati con bandiere americane fatte in casa. In Sicilia durante la seconda Guerra mondiale, Capa, ebbe modo di fare degli incontri che analizzandoli al giorno d’oggi risultano speciali come ad esempio con lo scrittore Andrea Camilleri, infatti si trovava nei pressi del tempio della Concordia, decidendo di fissare con il cavalletto una serie di foto al celebre monumento.

Quando giunse a Palermo, inviò le sue foto a Life, con la convinzione che la rivista americana non poteva farne a meno e si concentrò sulla Divisione di fanteria americana che stava combattendo sempre in Sicilia, cercando di suggellare quella battaglia sulla pellicola. I soldati americani erano giunti a Troina, nella zona nordorientale del territorio nella provincia ennese, avevano delle notevoli difficoltà ad espugnare il paese, che era difeso dai soldati italiani e tedeschi, che opponevano una strenua resistenza, con combattimenti che avvennero per sette lunghi giorni, con la conseguente ritirata e resa che avvenne dopo feroci bombardamenti che distrussero buona parte del centro abitato.

Robert Capa lavorò intensamente in quei giorni realizzando tra quelle montagne isolate alcune foto che diventarono tra le più famose della sua carriera. Fra le tante foto, quella scattata il 6 agosto del 1943 al termine della battaglia di Troina, che vede il soldato americano accovacciato e il pastore (tale Francesco Coltiletti detto massaru Ciccu o Ciatti) che, ricurvo, gli indica la strada per Sperlinga, quel momento fu suggellato anche da una targa per ricordo.

Robert Capa di tutto quello che avevo visto e descritto attraverso la sua testimonianza fotografica, anche tra l’altro dello sbarco in Normandia, il 6 giugno del 1944, famoso D-Day, per la sua drammaticità, partecipando a fianco dei soldati.  In verità veniva mostrato quanto fosse noiosa e poco spettacolare la guerra, portandosi con sé il convincimento amaro in cui gli uomini si sono fabbricati da soli questo inferno. Il dopoguerra fu un periodo contrassegnato dalla nascita dell’agenzia cooperativa Magnum, diventata una delle più prestigiose agenzie fotografiche fondata da Henri Cartier-Bresson, David “Chim”Seymour e George Rodger e William Vandivert.

Capa sarà a Tel Aviv come testimone nel 1948 della nascita dello Stato di Israele, infatti il 14 maggio fotograferà la cerimonia di dichiarazione dello Stato, consacrando il momento del discorso del primo ministro, la prima sessione di gabinetto d’Israele e la folla lungo le strade. Sarà anche testimone sempre nel 1948 della guerra arabo-israeliana, ricavando dal suo lavoro, essendo presente più volte in quella terra fino al 1950, un libro scritto a quattro mani con lo scrittore Irwin Shaw.  

L’amore e la passione per la fotografia lo ha portato a correre dei rischi nelle varie zone di guerra a fianco di soldati professionisti, per lui l’azione e la verità sul campo era quella che lo spingeva anche a suo rischio e pericolo. 

Nell'aprile del 1954 Capa è in Giappone per un incarico offertogli dalla Minichi Press, quando uno dei direttori di "Life" gli telegrafa l'offerta, economicamente allettante, di sostituire con effetto immediato il fotografo che stava documentando per conto della rivista americana il conflitto franco-vietnamita in Indocina e che è dovuto rientrare all'improvviso degli Stati Uniti. Capa era stato avvertito dallo stesso fotografo che si tratta di un conflitto "folle e stupido", in cui è quasi impossibile proteggersi dagli attacchi  e dalle trappole di una guerriglia - quella vietnamita - che infesta il territorio. Evidentemente l'Indocina offre a Capa l'occasione di far rivivere la sua leggenda di grande fotografo di guerra, e poi lui ha bisogno di denaro. Quando però Capa arriva in Vietnam, ad Hanoi, la città di Fien Bien Phu, che ha deciso le sorti della guerra, è già caduta sotto l'attacco dei guerriglieri vietnamiti e allora l'attenzione di Robert si focalizza sulle tendopoli che accolgono i soldati francesi, feriti e rilasciati dai vietnamiti, la cui tragedia è tutta nello sguardo allucinato di quel giovane soldato francese, la barba incolta, i piedi scalzi e gonfi, simbolo di quella piaga che era diventata l'Indocina per la Francia.

Anche se la sua più toccante immagine resta quella di una giovane donna vietnamita straziatadal dolore che piange, stringendo a sè un bambino, sulla tomba del marito in un cimitero militare. Capa accetta l'invito del colonnello Jean Lacapelle di accompagnarlo in una missione per evacuare e radere al suolo due piccoli forti, ancora tenuti dai francesi, per evitare altri disastri nello stile di Dien Bien Phu.  La mattina di martedì 25 maggio 1954, il convoglio di soldati e giornalisti si mette in marcia preceduto dagli uomini con i rilevatori antimine, è ripetutamente fermato durante la giornata da mine e da cecchini. La visione che ha Capa davanti a sè, sotto un sole feroce con un inferno di fuoco, sono i contadini vietnamiti, imperdurbabili che continuano a lavorare nei campi di riso: tutto questo lo eccita al punto di decidere di farne il tema della sua storia sul delta del fiume Rosso, una storia che pensava di intitolare Bitter Rice, cioè Riso amaro come si chiamava il film del regista Giuseppe de Santis di cui Capa aveva fotografato il set, nel 1948, in Italia, per conto di "Life". Il pericolo di andarsene in giro a fotografare in quelle zone è molto alto, ma Capa decide ugualmente di scendere dalla jeep per risalire un piccole colle a piedi a fianco della strada che fiancheggia le risaie. Alle 2.30 del pomeriggio si sente un suono perforante di una potente esplosione. I compagni quando raggiunsero il posto trovarono Capa riverso sulla schiena, il corpo lacerato da una mina antiuomo. Alla cerimonia funebra ad Hanoi il generale Cogny appuntò sulla bandiera americana che avvolgeva il feretro di Capa la Croix de Guerre with Palm, una delle più alte onorificenze della Francia . Degli onori e delle decorazioni militari, Capa non si era mai curato. Come scrisse il suo caro amico lo scrittore John Steinbeck:

"La macchina fotografica di Capa coglieva l'emozione e la tratteneva. Le sue foto non sono incidenti perchè l'opera di Capa è in se stessa la fotografia di un grande cuore e di un'empatia irresistibile".