LA PROPAGANDA NELL'ARTE

Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI. (1503–1506)Tiziano


from Alessandro Costa
31 Aug 2022

La Venezia che voglio raccontare è quella di fine ‘400 inizio ‘500, non solo la serena e sprezzante rappresentata nella stampa di Iacopo de ‘Barbari come pure il doge nella luminosa immagine eseguita da Giovanni Bellini.

Essa, infatti, è la città falcidiata nel 1503-1504 e nel 1510 dalla peste, ferita dalla crisi economica che fu determinata con la scoperta portoghese della via delle Indie che spezzava il monopolio veneziano delle spezie, ma anche dal devastante incendio al fondaco dei Tedeschi (1505), dalla disastrosa guerra con la Lega dei Cambrai ma soprattutto dall'annosa e irrisolta questione con il nemico alle porte del suo vasto dominio nel Mediterraneo orientale

Il Tenenti sostiene che nel periodo tra la seconda metà del XV sec. e la prima metà del XVI sec. il "confronto navale fra i due avversari volse a favore dei turchi", avvenuta da una maggiore quantità di unità navali a loro disposizione ma anche per l'appoggio garantito alla Sublime Porta dai principati barbareschi dell'Africa settentrionale.

Il declino inesorabile di Venezia in Oriente ebbe inizio nel fatidico 12 luglio 1470 quando la flotta di Maometto II s'impossessò della principale base veneziana nell'Egeo settentrionale, Negroponte.

I turchi, gradualmente e pressoché indisturbati, conquistarono dapprima Siria ed Egitto, poi Rodi cacciando gli ospitalieri di San Giovanni, e infine Algeri, estendendo il proprio controllo sull'intero mediterraneo meridionale.

Il braccio di ferro tra le due potenze marittime si inserisce anche la guerra del 1499-1503, condotta per la Serenissima guidata inizialmente dall'incapace Antonio Grimani poi dall'abile e spietato Benedetto Pesaro che affrontò diverse battaglie, considerando che la tensione era molto alta fu pubblicato un foglio volante per celebrare la formazione della lega che testimonia la percezione del pericolo turco in laguna.

Benedetto Pesaro fu protagonista indiscusso del conflitto, fin dalle prime battute della guerra il Pesaro impressionò per la sua risolutezza, conquistando velocemente Cefalonia (dicembre 1500), con il sostegno delle navi spagnole di Consalvo de Cordoba, eletto per i suoi meriti militari nel 1501, mori sulla sua galera a Corfù il 12 agosto 1503. A Venezia la notizia della morte del capitano veneziano creò notevole sgomento, al punto che il cronista dell'epoca ebbe a definirlo "Hommo veramente" e "molto experto in le chosse maritime", sottolineò che, "dove l'armata veneta se poteva repurtar perduta, la ridusse in tal termine, che la poteva star all’incontro de la inimica".

La pagina unica e gloriosa del conflitto con la vittoria di Santa Maura, dove non contemplò solo come unico artefice Benedetto Pesaro, ma anche il più giovane cugino Iacopo, sebbene l'intera comunità veneziana attribuiva esclusivamente al primo il merito di quel successo, anche dallo stesso Benedetto che volle magnificare le sue vittorie militari, proprio nel suo precoce monumento funebre, eretto nel 1503 da Lorenzo Bregno e da Baccio da Montelupo nella sagrestia di Santa Maria Gloriosa dei Frari.

Il risentimento da parte di Iacopo Pesaro nei confronti del cugino, acuito anche dall'imponente tomba in una delle principali chiese di Venezia emerge dal discorso tenuto davanti al Collegio il 21 novembre del 1502, in cui spiega come a fare il proprio dovere al meglio fu lui "con le sue bombarde contra i turchi" e ad aver costruito "la palifichada a Maurae non il zeneral".

Ed ecco che Iacopo Pesaro per togliere qualsiasi dubbio, certo che possibili celebrazioni in vita o postume non sarebbero mai arrivate, decise di affidare al pennello del giovane Tiziano  l'incarico, come racconta il Biferali, di celebrargli una sua personale Santa Maura attraverso un piccolo e raffinato dipinto, avviando così un rapporto di committenza dal quale sarebbe scaturito in seguito uno dei capolavori del pittore.

Lavorando nella bottega di Giovanni Bellini, nel 1488 aveva realizzato per il cugino Benedetto un trittico conservato nella cappella di famiglia dei Frari, Tiziano fece con il quadro dipinto per il vescovo il suo ingresso ufficiale nel complesso agone politico che avrebbe caratterizzato il '500 veneziano. 

La scelta di Iacopo Pesaro per il giovane Tiziano, artista che non doveva superare i vent'anni, fu presumibilmente suggerita dal committente in virtù delle sue fruttuose esperienze professionali accumulate nel giro di pochi anni, con l'aiuto notevole che ebbe lavorando a stretto contatto come allievo del Bellini, il principale trampolino di lancio veneziano del Vecellio.

La Pala venne commissionata come ex voto per la vittoria della battaglia di Santa Maura contro i Turchi Ottomani da parte della flotta veneziana, comandata come detto da Jacopo Pesaro, vescovo di Pafo a Cipro,  allora dominio veneziano. In quello stesso anno ebbe la morte il Papa Alessandro VI Borgia, promotore dell'iniziativa militare, anche se fu oggetto di una sorta di dannazione della memoria che lo fa scomparire dalle rappresentazioni.

Nella scia belliniana il pittore del Cadore con un realismo e con un senso dell'umanità più accentuati dei due fratelli, eseguì quella che viene considerata la prima importante opera., in cui Iacopo Pesaro viene rappresentato in ginocchio, effigiato con l'abito bianco e nero dei Cavalieri di Malta e con la caratteristica tonsura da chierico, viene presentato a San Pietro da Alessandro VI Borgia.

Iacopo Pesaro, la cui età non dovrebbe superare i quarantanni, è senza dubbio il protagonista del quadro, caratterizzato da un impianto compositivo e da un cromatismo che richiama le influenze stilistiche belliniane, come quella del lombardo Iacopo Palma il Vecchio, sia nelle "sfumature delle tinte, nel getto e nelle pieghe dei panneggi, sia nei passaggi dalle luci calde e chiare alle tinte grigie argentine che si fondono nei lividi" (Cavalcaselle).

Il dipinto sicuramente fu ultimato, dato che il committente era assente da Venezia nel periodo tra il 1503 e il 1506, entro il 1503, magari nell'occasione del primo anniversario della battaglia di Santa Maura.

È anche verosimile che volesse celebrare la morte di papa Borgia a cui il Pesaro doveva tutto della sua carriera ecclesiastica, visto che era poco probabile che un papa venisse raffigurato da vivo in piedi difronte a San Pietro, proprio nel caso di Alessandro VI, corrotto, che sfoggia nella scena una tiara e un sontuoso piviale in broccato (The Genius of Venice 1500-1600 catalogo della mostra della Royal Academy of Arts a Londra).

L'opera ricorda nella disposizione dei personaggi e nel formato la "Pala votiva per il doge Agostino Barbarigo (1488) di Giovanni Bellini in San Pietro Martire a Murano, dove alcuni dettagli iconografici svelano la nascosta dimensione simbolica della scena. (Biferali)

Al centro del dipinto troviamo il vessillo tenuto con entrambi le mani da Iacopo Pesaro, su cui campeggiano i due stemmi dei Borgia e dei Pesaro che rappresentano il ruolo ricoperto nella flotta pontificia. La flotta ordinariamente schierata, che richiama i preparativi alla battaglia, la scorgiamo seminascosta dalla bandiera e da due personaggi, ed è avvolta in una nebbiolina che fa immaginare un'atmosfera di una classica alba veneziana con una inverosimile rappresentazione dell'isola di Santa Maura.

Inoltre il richiamo ad un evento bellico e all'incarico militare lo possiamo osservare anche dall'elmo lucente sul pavimento a scacchi bianchi e rossi di Iacopo Pesaro quasi identico ad eccezione della mancanza della celata, a quello del Giorgione ben "Ritratto di capitano con scudiero detto Gattamelata" agli Uffizi.

Il podio del San Pietro benedicente è in stile classico con un finto bassorilievo marmoreo in cui si riconosce un Cupido nell’atto di scagliare una freccia in direzione di una Venere vincitrice seminuda alla sua sinistra, che rimanda sia alla vittoria ottenuta da Iacopo Pesaro a Santa Maura sia al culto di Venere legato al sito di Pafo, in cui egli era vescovo. 

Tutto questo però chiarisce che la scena che abbiamo descritto sotto il basamento della figura di san Pietro con il suo elemento iconografico principale sotto le due grandi chiavi pontificie, allude al trionfo del cristianesimo sul paganesimo.

L'aspetto che noi vogliamo evidenziare in questa importante opera giovanile di Tiziano è la presenza dei pagani, che non sono altro che i turchi, con il san Pietro nell'atto di benedire e Iacopo Pesaro con Papa Alessandro VI che intercede per lui e rappresentano la Chiesa vittoriosa sul secolare nemico ottomano.

Possiamo quindi asserire che il soggetto storico-politico-militare che realizza Tiziano risulta essere il primo in assoluto dove troviamo i due elementi iconografici più significativi che sono l'omaggio del committente all'autorità pontificia, rappresentata da san Pietro con i suoi attributi simbolici e da Alessandro VI, e la celebrazione nell'ambito della vittoria a Santa Maura del vescovo e capitano Iacopo Pesaro, che tentò attraverso questo quadro di riabilitare i suoi meriti nella campagna anti ottomana e al contempo di far dimenticare l'ingombrante figura del cugino Benedetto Pesaro.

Nell'intreccio della storia, spazio e tempo sono sempre dei concetti molto relativi, in cui si possono scorgere i ricorsi storici partendo dalla riflessione che abbiamo potuto fare poc'anzi con un'opera di Tiziano di circa 520 anni fa.

Ora osserveremo il  grande dipinto murale “ L’Italia tra le Arti e le Scienze” (140 mq di superficie) che Mario Sironi ideò e dipinse nel 1935 in soli due mesi di tempo. L'opera si trova nell'aula magna dell'Università Sapienza di Roma e fu commissionata dallo stesso Mussolini su suggerimento dell'architetto Piacentini,progettista della Città universitaria. La composizione non è altro che la rappresentazione dell'Italia fascista, in cui veniva ritratta una figura femminile al centro della scena che rappresenta la personificazione dell'Italia, attorniata dagli studenti universitari. In alto sono posti tutti gli attributi iconografici cari al regime fascista: la vittoria alata con l’elmetto e la spada sguainata, l’aquila imperiale, l’arco dei trionfi di Roma con il Duce a cavallo, gli alfieri con i labari e le insegne della romanità, la data dell’Era Fascista. Tra le scienze della natura sono presenti la Mineralogia, che osserva dei cristalli, e la Botanica, che ha un fiore in mano. Uno spazio di rilievo occupa la Geografia. La scienziata che la personifica regge il globo terrestre. Un giovane geografo indica con il dito la posizione dell’Italia. La Pittura traccia con un carboncino sullo schermo di una pietra piatta i bozzetti della sua opera. Sironiafferma così la sua personale concezione della pittura a servizio dell’architettura monumentale. L’Astronomia è una donna con le braccia alzate verso il cielo che contempla le costellazioni celesti. Per le scienze della terra vediamo un Geologo allungato al suolo che sonda le rocce con un martelletto e i suoi attrezzi di lavoro. La Storia è la donna vista di spalle con un grande libro aperto che guarda all’Italia e alle sue glorie. 

La Letteratura è una donna severa, vestita di nero, con un libro aperto sulle ginocchia. Al suo fianco sono i giovani universitari del Guf che reggono tra le mani il libro e il moschetto. In alto a destra sono raffigurati gli Architetti impegnati nel disegno progettuale. Li affianca la Scultura che ha in mano un vistoso martello. In basso a sinistra Sironi ha personificato i tradizionali elementi naturali da cui trae origine ogni sostanza di cui è composta la materia. L’uomo con la pietra focaia fa scoccare la scintilla del Fuoco. La donna seduta a Terra fa sgorgare dalla sua mano aperta un rivolo di Acqua sorgiva. Un uomo cerca di difendersi dall’Aria, simbolizzata da un vento impetuoso. 

L’iscrizione in latino situata sopra l’affresco promuove l’importanza dello studio e delle arti: “Doctrinae studium vitam producit et auget / Immortalis eris si sapias iuvenis” (Gli studi e l’istruzione prolungano e accrescono la vita / Se hai il sapere, o giovane, sarai immortale).

L'obiettivo di Sironi era mettere al centro dell'immagine la personificazione dell'Italia, prospettiva chiaramente nazionalista, proprio per esaltare l'allora governo dittatoriale fascista. Intorno in posizione ancillare, si trovavano le discipline di intelletto e di scienza patrocinate dal più grande mecenate: lo Stato.

 In questo modo, grazie a Mario Sironi ed anche alle altre personalità che collaborarono alla realizzazione dell'edificio, la propaganda del governo poteva radicarsi anche in questo nuovo fulcro culturale della capitale, rivolgendosi soprattutto alle generazioni più giovani e ricettive che avrebbero consentito al Partito Nazionale Fascista di mantenere le redini del potere.

Le simbologie e gli ideali sono stati veicolati in questa opera imponente e grandiosa che Sironi proietta in una visione in bilico tra sacro e profano, in cui da una parte ricorda l'iconografia dell'Apollo circondato dalle Muse (come, ad esempio, Apollo e le Muse sul monte Parnaso di Anton Raphael Mengs, 1760),

mentre dall'altra si riallacciava alle decorazioni absidali di epoca paleocristiana, come a Santa Prassede, a Roma (tardo IV secolo). Si scorgono inoltre le tracce della Roma antica, sia in termini tematici con la Vittoria alata con gladio, che stilistici individuabili nelle varie pose immobili dei personaggi, che sembravano ammonire l'osservatore, dall'alto della loro ciclopica presenza.

Fin da giovane Sironi si incantava ad ammirare le opere dell’arte classica di Roma, affreschi e rilievi, non quadri, teso ad accendere l’animo con forti emozioni, credendo fortemente che la pittura murale fosse una rivoluzione del sistema dell’arte.

I muri non necessitavano di essere esposti in una mostra perché lo erano sempre, senza esigenza di essere venduti o commissionati. 

Sironi ha sempre creduto nel fascismoe ne ha espresso l'ideologia nelle sue opere ma con modalità differenti da quelle richieste dal regime. Nell’opera descritta in precedenza (” L’Italia tra le Arti e le Scienze” nell’Aula Magna della Università della Sapienza a Roma) la sua visione è decisamente differente (fu denigrato e insultato severamente da Mussolini, anche per la “Grande allegoria del lavoro” della Quinta Triennale di Milano, andata poi distrutta); infatti “le sue opere non sono mai propaganda" come dice Elena Pontiggia, proprio perché la dimensione drammatica che le percorre ne esclude l'espressione. L’opera nasce dallo stile e non dal contenuto e anche se trae ispirazione dai contenuti della rivoluzione fascista, non esprime mai una visione menzoniera e trionfalistica della realtà, sono anzi  antipubblicitarie,  antitrionfalistiche e antipropagandistiche”. Farinacci lo bolla come bolscevico e addirittura come antifascista, esterofilo ed anticlassico, di fatto Sironi pensa ad un museo che esca da una visione domestica, per essere fruita collettivamente in luoghi come, in questo caso, l’Università di Roma seguendo senza dubbio coscientemente modelli russi e messicani. Sironi continuerà a credere nei valori sociali dell’arte e correrà dietro ad un sogno allegorico impegnandosi quanto e quando può per la sua realizzazione.

D’altronde l'arte murale, come scrisse Emily Braun, fiorì nel corso del Ventennio, aveva trovato nella politica fascista modo di svilupparsi, visto che in quegli stessi anni aveva promosso e finanziato la costruzione di numerosi edifici pubblici, infatti diversi artisti, architetti e politici riuscirono a trovare nella monumentalità una visione comune che sfociava in una comunicazione efficacie per il grande pubblico. I mosaici, gli affreschi o i rilievi che venivano realizzati per questi edifici pubblici si trasformavano in mostre permanentialla portata di tutti, ma che risultavano dei messaggi, chiaramente politici e di propaganda littoria.

 

Una poesia di Mario Sironi 

 

Un po’ di sole, un angolo di muro,

silenzio nel tempo che trascorre,

tra poco farà freddo e le piante moriranno,

come me nel cuore deserto, il sole diventerà più pallido,

il muro, la polvere, il nulla, immani montagne sfolgoranti nel cielo, che illividisce le avvolge inesorabile 

in sudari di gelo

silenzio gli occhi guardano senza vedere.

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Mario Sironi, L’Italia tra le Arti e le Scienze (1935) Silvia Colombo

Billi, Eliana e Laura D’Agostino, Laura (a cura di). 2017. Sironi svelato. Il restauro del murale della Sapienza. Roma: Campisano Editore.

Braun, Emily. 2003. Mario Sironi. Arte e politica in Italia sotto il fascismo. Torino: Bollati Boringhieri.

Gentile, Emilio. 2014. L'Italia tra le arti e le scienze di Mario Sironi. Miti grandiosi e giganteschi rivolgimenti. Roma-Bari: Laterza.

Tiziano  "Il Genio e il Potere" Fabrizio Biferali