Per un’architettura più povera, sulle orme di Yona Friedman
L'architettura decisa dall'Abitante
Esiste il diritto di decidere in materia di architettura, di assicurare un diritto alle persone cui esso spetta, in un mondo che va verso una povertà crescente, ma come soppravvivere in tale situazione?
Non è l’attacco all’architettura moderna, come dice Yona Friedman, ma tentare di trovare nuove soluzioni che rispettino le condizioni di sopravvivenza della specie umana, di fronte agli attuali problemi di impoverimento e di esaurimento delle risorse.
Diventa indispensabile un’architettura “povera” che riscopra i valori naturali e le tecniche compatibili con un modo di vita più sobrio. A differenza dell’architettura classica che mira a cambiare il mondo per renderlo favorevole all’uomo, l’architettura di sopravvivenza cerca di limitare le trasformazioni, conservando le migliori condizioni ecocompatibili a ciò che gli ecosistemi esistenti possano essere resi abitabili. In altre parole, l’architettura classica trasforma le cose per adeguarle all’uso umano, mentre l’architettura di sopravvivenza prova a modificare il modo in cui l’uomo si serve delle cose.
L’emarginazione e l’esclusione sociale esistono nel Primo Mondo, nei settori più vulnerabili della popolazione, in quelle porzioni di territorio del nostro paese in cui si manifestano evidenti problematiche di ”emergenza urbana e sociale”. Forse dovremmo riflettere se il ruolo dell’architettura, è quello di lavorare a progetti, iniziative e programmi sui temi del Quarto Mondo, questo significa non rimanere indifferenti alla crescita della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale nelle nostre città, nelle periferie, negli insediamenti umani in genere. Ma se il il Terzo e il Quarto Mondo sono la stessa cosa, essi non possono essere disgiunti. Sono la fusione di un sistema economico dominante che, favorendo una piccola minoranza, discrimina e lascia in povertà la maggioranza.
L’architetto, urbanista, designer, ma anche studioso di sociologia, fisica e scienza delle comunicazioni, Yona Friedman (Budapest, 1923), considerato in un primo momento un’utopista ma in seguito giustamente riconosciuto come guida della cultura architettonica internazionale, è stato membro della resistenza antinazista ungherese, ha trascorso alcuni anni ad Haifa, in Israele, dove ha cominciato a preparare la bozza delle sue molteplici teorie, vale a dire il Manifesto dell’Architettura Mobile, in cui speciali sistemi di costruzione permettono all’abitante di determinare da sè la forma, lo stile della sua casa e di cambiarlo quando lo si desidera. Una società, come abbiamo descritto fino ad ora, di divisione (quando invece ciò che serve è una società che condivida), in realtà sta aumentando l’emarginazione di intere popolazioni in territori immensi. L’architettura può svolgere un’azione di sopravvivenza, ma è allo stesso tempo una tecnica, una filosofia e forse uno stile, la cui principale qualità è di essere pensata per un uomo qualunque, il quale, rappresenta lo strumento stesso della propria sopravvivenza. Per capire il bisogno di una architettura di sopravvivenza occorre accettare la condizione di povertà che sta progressivamente coinvolgendo il mondo in cui viviamo.
Non si vuole essere allarmisti o catastrofici, ma è fuor di dubbio che si sta vivendo in una società in cui le risorse di cui ci serviamo sono deteriorabili e non rinnovabili. Pensiamo alle questioni legate al reperimento e alla distribuzione delle fonti energetiche ed alle conseguenze che questo comporta a vari livelli. La condizione di povertà nella situazione attuale in cui stiamo vivendo ha portato l’uomo dei nostri paesi ricchi, a ricalibrare l’ordine delle proprie necessità, eleminando il superfluo e concentrandosi sullo stretto indispensabile alla propria sopravvivenza, ovvero negli elementi del tetto e del cibo. Nel tempo, si sono create nei paesi industrializzati, zone con alta densità, in cui vivono persone che producono oggetti e servizi e zone poco popolate in cui si produce cibo destinato ad altri consumatori, creando squilibri e disuguaglianze sociali, in quanto il reperimento del cibo è vincolato in una modalità tale che tutto ciò diventa molto costoso per il trasporto e lo stoccaggio.
Tale realtà porta a due gravi conseguenze importanti: da un lato vincola i paesi cosidetti ricchi a rivolgersi ad altri, dall’altro non riesce a soddisfare il fabbisogno mondiale. Per la sopravvivenza, il rendersi autonomi diventa determinante, nel senso che architettonicamente si deve arrivare a praticare l’auto pianificazione. In questo l’architetto ha un ruolo totalmente diverso da quello che noi possiamo pensare, ovvero il suo compito è quello di insegnare “all’uomo comune” il metodo per poter organizzare e pianificare gli spazi di cui si serve, riuscendo a distinguere e a difendere il suo interesse personale senza arrecare danni altrui. L’architetto in senso generale coordina i singoli progetti, salvarguardando gli interessi comuni e prestando una cura alla complessiva omogeneità estetica. Nella pratica un modo per poter ottenere una eterogeneità dei singoli progetti, può essere favorito dalla povertà della tecnica applicata, aspetto facilmente riscontrabile, per esempio, nei centri storici delle città, ma non solo.
Nell’architettura di sopravvivenza, questi principi dovrebbero essere applicati limitando le trasformazioni del mondo al minimo indispensabile per l’adattamento dell’uomo, e non trasformando il mondo per renderlo più favorevole all’uomo, come avviene nell’architettura classica. In questo modo possiamo sfruttare diversamente e in forma più conveniente le risorse che la natura di ogni specifico luogo ci mette a disposizione.
Lo studio e la lunga esperienza sul campo ha portato Yona Friedman a constatare che l’organizzazione spontanea di tipo socio-economico, ad esempio le bidonville, in cui gli stessi abitanti smettono di credere alle promesse dei governi ufficiali, di conseguenza ci si avvicina di più ad un’architettura di sopravvivenza. L’assetto sociale auto-organizzato in cui si raggiunge il giusto numero di persone consono per garantire una corretta comunicazione reciproca, è il mezzo indispensabile per assicurare una rapida ed efficace operatività del gruppo, dove oltretutto gli abitanti fondono la propria sopravvivenza, non più sulla produzione di denaro, bensì, attraverso il baratto, che garantiscono realmente la loro sopravvivenza.
[Il fotografo Statunitense Stanley Greene documenta la vita nella baraccopoli di Dacca (Bangladesh) ovvero come sopravvivere in questo habitat sociale. Stanley Greene (Brooklyn, 14 febbraio 1949 – Parigi, 19 maggio 2017) è stato un fotoreporter statunitense, interessato dell'ambito sociale e della difesa dei diritti umani, vincitore di numerosi premi e conosciuto anche con l’appellativo di “pantera nera del fotogiornalismo”.]
Il non imporre un modello architettonico, è l'obiettivo, fondendosi con il tessuto sociale, su chi abita quei contesti, tenendo conto della vita quotidiana, delle esigenze, dei desideri di chi vive quegli spazi. Il concetto di "architettura della sopravvivenza" costituita da elementi realizzati con materiali poveri e forme semplici, che potrebbero essere realizzabili da artigiani se non addirittura dai residenti.
Il messaggio che Friedman fece anni fa, possiamo definirlo erroneamente utopico,in realtà fu profetico, oggi più che mai, il suo lavoro risulta di grande attualità, la sostenibilità che è la chiave di tutti i suoi progetti, ora sembra la chiave di lettura per costruire un mondo sostenibile , dove la vita delle persone torna ad avere valore. L'importanza, nella ricerca di Friedman, come tema centrale è l'importanza dell'educazione al processo creativo e costruttivo e il rapporto con la persona che abita la città, che con gli strumenti forniti dall'architetto ha la capacità di realizzare in maniera autonoma il proprio spazio abitativo.
Il suo modo di fare architettura è forse da intendere come un mezzo di comunicazione, un modo per poter dialogare e diffondere idee, come una forma di pluralità, creando un opificio delle idee. Il potere dell'architettura come strumento esponenziale a livello globale, cercando di essere mobili e veloci come sono ora i social ma su un tema che è di importanza vitale per tutti noi.
Oggi il "No man's land" lo possiamo definire il rapporto dell'uomo con la natura e il suo habitat, alla ricerca di un equilibrio e un rispetto reciproco. L'architettura povera è la messa in atto di tutti gli elementi che si ritrovano nel progetto, come dei suoi scritti, dei suoi progetti originali, che si fondono su tre elementi fondamentali quali: la natura, la città e il territorio.
Il museo senza pareti (Museum of Simple Technology, Madras; India), sassi bianchi di fiume a segnare figure umane di vaga ispirazione preistorica, come gli alberi di bambù piantati a segnare un confine, alberi con incise le parole chiave di Friedman, come una sorta di linguaggio che fa parte del suo codex, ovvero il manuale di auto-progettazione e l'auto-pianificazione.
Friedman realizza nei suoi scritti e nei suoi progetti e nei suoi disegni un linguaggio incisivo e immediato, ovvero un modulo d'abitazione aggregabile in più unità, cioè una struttura con un tetto in comune, sotto il quale gli abitanti vanno a definire in maniera autonoma la composizione di forme, usi e la distribuzione degli spazi.
Lo studio e la ricerca sono un lavoro di quarant'anni di applicazione su questa teoria, come descrive Friedman, "il liberarsi dell'esperto e liberarsi, fino ad una certa parte, della tecnica, si lega su due aspetti distinti che sono: quello della libertà e quello della povertà.
La libertà intesa, da Friedman, più solidale con l'abitante e molto meno con i suoi colleghi architetti, portandoli ovviamente a considerarlo un traditore dell'architettura, ma di questo ne valeva il sacrificio.
Quanto alla povertà, deluso come molti dalle promesse dei politici e dei filosofi, si credeva che potesse essere eliminata, insieme ad altri fattori dall'invenzione tecnologica. Scomparire od essere eliminata sono due cose decisamente differenti: povertà eliminata, significa che tutto il mondo è ricco, mentre povertà scomparsa, che tutto il mondo è povero allo stesso modo.
Nell'architettura di sopravvivenza, l'obiettivo di queste riflessioni semplificate è quello necessario di far capire cosa sia la scoperta della povertà, definire il nuovo povero.
Di conseguenza con la crisi economica, che coinvolge sia gli stati industrializzati che quelli di nuova povertà, e tenendo presente che la "Carta dei CIAM ( Congresso internazionale di architettura moderna) costituiva l'ideale di una generazione che credeva nell'espansione economica, anche nel caso di una crisi economica localizzata in una data regione, pensando che poteva essere passeggera e causata da una cattiva gestione locale.
In contrappasso i disoccupati (nelle bidonville o altrove), hanno cominciato a vivere secondo la loro preoccupazione principale che è non più tanto quella di lavorare, abitare e svagarsi (CIAM), quanto piuttosto di mangiare, dormire, proteggersi e convivere con gli altri.
La conseguenza di tutto questo fu che la "Carta di Atene" dei CIAM come detto sopra venne progressivamente sostituita da una "Carta di Sopravvivenza", e l'architettura di sopravvivenza, è l'oggetto di questa carta, ovvero il tetto e il cibo, che sono i due elementi-base di questa architettura della sopravvivenza.
La definizione di Habitat non può bastare ad essere risolta con il tetto e il cibo; esattamente il tetto, è inteso come protezione climatica, infatti si deve esaminare nelle sue varie implicazioni, che garantisce l'habitat della nuova povertà.
Si deve premettere che l'attuale concezione di habitat, concepito nei paesi industrializzati non potrebbe essere una soluzione adeguata, dato che non riuscirebbe ad essere per tutti, rifiutando la soluzione che sia solo alla portata di una minoranza agiata.
Le soluzioni che sono analizzate portano l'habitat dei paesi industrializzati nella sua urbanizzazione in cui le città avviano un processo di egualizzazione, invadendo le campagne che producono il suo sostentamento e gli agricoltori che scoprono la pratica industriale; il che significa grandi produzioni, meccanizzazione, fertilizzazione chimica per poter raggiungere il massimo di redditività, connubbio che determina la causa della desertificazione, e ancor più grave la distruzione di poter produrre cibo per gli anni a venire sui quei terreni. Ma quello che dovremmo riflettere è che l'habitat dei paesi industrializzati, provocano la progressiva desertificazione, questo, non potrà essere un modello universale, visto che siamo in un mondo in cui la metà degli abitanti è molto meno nutrita dell'altra.
La protezione climatica è un aspetto determinante che porta l'umanità ad adattarsi, visto che il tetto inteso come riparo diventa importante e complesso, quanto più il clima diventa rigido. Certamente in un clima rigido la copertura sarà molto estesa, se consideriamo il riscaldamento, come facente parte del tetto con una clima ingrato rappresenterà una soluzione molto costosa.
Mentre se il clima è tale che il corpo umano riesce ad adattarsi senza troppe difficoltà per tutto l'anno, gli abitanti non avranno più bisogno che la copertura sia riscaldata, di conseguenza per loro sarà più facile costruirsi un riparo. Rimane assodato che in un mondo che conosce la povertà, risulta più semplice garantire la sopravvivenza in certe condizione naturali.
Sulla base di questa tesi, si può formulare l'ipotesi che le bidonville si potranno più rapidamente estendere nelle regioni in cui il clima è più temperato, con ripari meno complessi di quei luoghi con clima rigido.
Quindi per Yona Friedman, gli agglomerati urbani poveri, l'architettura di sopravvivenza, riguardano soprattutto le zone dove il clima permette abitazioni senza riparo e la produzione in loco dell'alimentazione di base, portando ad una nuova distribuzione geografica degli esseri umani, con una forte densità di abitazioni a certe latitudini e una densità decrescente altrove.
L'agricoltura urbana, la modificazione del regime alimentare e la concentrazione degli insediamenti umani delle regioni dove è più facile abitare sono la dimostrazione di un fatto spesso dimenticato nei trattati di architettura e di urbanistica, ovvero che il tetto e il cibo sono indissociabili.
Uno dei principali messaggi che Yona Friedman vuole comunicare ovvero “è meglio essere poveri e indipendenti che ricchi dipendenti da altri.”
Bibiografia
"L'Architettura di Sopravvivenza"
Una filosofia della povertà"
Yona Friedman
http://www.yonafriedman.nl
https://insideart.eu/2022/06/03/omaggio-a-yona-friedman-fondazione-no-mans-land-celebra-larchitetto-e-urbanista-ungherese-nel-giorno-del-suo-centenario/
https://www.joimag.it/yona-friedman-e-la-fragilita/
.