LE RAGAZZE IRANIANE


di Alessandro Costa
24 Jan 2025
 

anno 2024
Dimensioni L60 x H50

Tecnica : tela acrilico/tempera

  PAKSHAN AZIZI

Non solo carcere, in Iran i giornalisti si condannano a morte

“Sono stata impiccata molte volte dagli interrogatori”. La storia di Pakhshan Azizi.

«Fin dalla tenera infanzia, ha imparato la lotta per la sopravvivenza attraverso le storie e le ninne nanne di una madre che aveva sopportato le difficoltà della vita fino al midollo delle sue ossa». Così inizia la lettera di Pakhshan Azizi, giornalista e attivista kurda, detenuta nel carcere di Evin, a cui a fine Luglio è stata notificata la sentenza di una condanna a morte emessa dalla Sezione 26 del Tribunale rivoluzionario islamico iraniano di Teheran, presieduto dal giudice Iman Afshari. Pakhshan Azizi venne arrestata il 4 Agosto 2023 dalle forze di intelligence iraniane nella città Kharazi di Teheran, e l’11 Dicembre trasferita dal reparto 209 della prigione di Evin, dove era in isolamento, al reparto femminile della stessa prigione. Durante il suo periodo di detenzione è stata sottoposta a incessanti molestie e torture, proprio come testimoniato da lei stessa nella lettera di Luglio, impossibilitata a ricevere le visite e le telefonate dei familiari, nonché dei suoi legali; un fatto, quest’ultimo che ha comportato procedimenti giudiziari condotti in processi farsa e non equi, non certo una novità per il regime teocratico dell’Iran. 

La “colpa” di Azizi

Azizi, giornalista e attivista politica e umanitaria kurda, è stata condannata con l’accusa di baghi, “ribellione”, in quanto secondo i giudici e l’intelligence iraniani appartiene a gruppi che hanno intrapreso una rivolta armata contro il governo islamico, è stata inoltre condannata a quattro anni di reclusione con l’accusa di essere membro del Partito della Vita Libera del Kurdistan (PJAK). Secondo l’articolo 287 del Codice penale islamico infatti qualsiasi gruppo impegnato nella resistenza armata contro la Repubblica islamica è considerato ribelle e comporta l’imposizione della pena di morte nei confronti dei suoi membri. Ricordiamo che Pakhshan Azizi fu già arrestata il 16 novembre 2009 mentre era in corso una protesta degli studenti kurdi a Teheran contro le esecuzioni dei prigionieri in Kurdistan. Successivamente, il 19 marzo 2010, fu rilasciata dietro pagamento di una cauzione di 100 milioni di Toman. Nonostante questo Azizi continuò ad essere perseguitata e minacciata dal regime della Repubblica islamica, e per questo fu costretta a fuggire dall’Iran.

Importante sottolineare che Pakhshan Azizi, riporta Shargh Daily, tramite Amir Raesian, uno degli avvocati che lavorano sul caso, «non solo non ha partecipato ad alcuna operazione armata, ma è anche stata in Iraq e Siria negli ultimi sette anni, dove ha aiutato i rifugiati e le persone colpite dalla violenza come assistente sociale dopo le atrocità commesse dall’ISIS dal 2015», essendo sempre stata interessata allo studio della situazione delle donne nel Bashur (Kurdistan iracheno) e nel Rojava (Kurdistan siriano).

Bibliografia

laredazione.net, giornalismo d’inchiesta

Silvia Cegalin 

 

  Zeinab Jalalian
Zeinab vive rinchiusa in una cella da oltre quindici anni.
Un tempo che si è trasformato in un abisso, cominciato nel 2008 quando fu accusata di appartenere al PJAK, il Partito della Vita Libera del Kurdistan. Un’accusa mai dimostrata e che leistessa ha sempre negato, ma suffi ciente a condannarla a una detenzione che oltre ad essere fi sica, è anche un ergastolo dell’anima. Torturata, lasciata senza cure mediche nonostante gravi malattie, Zeinab è diventata il volto di un’ingiustizia che si consuma in silenzio.
In Iran, milioni di donne condividono lo stesso destino fatto da discriminazioni, molestie quotidiane, violenze sistematiche.
Eppure, per decenni, fi gure come quella di Zeinab hanno avuto il coraggio di alzarsi inpiedi e rischiare tutto, chiedendo un futuro in cui il rispetto dei diritti umani non sia più un’utopia.
Bibliografia
InsiderOver Inside the news Over the world Donne, Politica /Andrea Umbrello
 
 Varishe Moradi

La prigioniera politica Varishe Moradi è stata arrestata dalle forze di sicurezza a Sanandaj il 1° agosto 2023. È stata interrogata e torturata mentre era detenuta in un centro di detenzione dell'intelligence locale prima di essere trasferita al reparto 209 della prigione di Evin e successivamente al reparto femminile. Durante questo periodo, ha trascorso più di cinque mesi in isolamento. Mentre era in prigione, ha subito torture e pressioni da parte degli agenti di sicurezza, che hanno cercato di estorcerle una confessione.

Nell’aprile 2024, su ordine del giudice Salavati, Varishe Moradi è stata trasferita dal reparto femminile al reparto 209 della prigione di Evin, spingendola a iniziare uno sciopero della fame per protesta.

Poi mi hanno trasferito nella sezione 209 della prigione di Evin, dove è stata sottoposta a mesi di intensi interrogatori sotto un'enorme pressione, inclusa la tortura dei bianchi, scenari contraddittori e ingannevoli, minacciandola di assassinarla, con confessioni forzate. Ha sofferto di forti mal di testa, sangue dal naso costante e peggioramento del dolore al collo e alla schiena a causa del tempo trascorso in isolamento.

Il 26 dicembre 2023 è stata trasferita nel reparto femminile di Evin. Alla fine, il 9 aprile 2024, è stata formalmente accusata presso la Sezione 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran di “appartenenza a gruppi di opposizione” e “ribellione armata”. Ma la domanda fondamentale rimane: “Perché combattere una forza terroristica come l’Isis è considerato equivalente a combattere la Repubblica islamica?” Dove si colloca, allora, nella storia, la pretesa della Repubblica Islamica di combattere l’Isis? L’Isis ci decapita e la Repubblica islamica ci impicca. Nessuna dottrina politica o giuridica può risolvere questo paradosso. Cerchiamo quindi di essere vigili.

Durante il suo anno di custodia cautelare, le è stata consentita la visita della famiglia solo per tre mesi e mezzo. Il resto del tempo l’ha trascorso in isolamento o, come adesso, nel reparto femminile, ma in condizioni simili all’isolamento.

Dopo dieci mesi di detenzione, tra il 15 e il 17 maggio 2024, è stata etichettata come terrorista e equiparato all’Isis a Evin, senza riguardo ai suoi precedenti e al suo passato. Le è stato detto che avrebbe dovuto andare in Siria per conto del governo come “difensore del Santuario”. Sulla base di questa logica, ciò significa che tutti coloro che hanno combattuto contro l’Isis per motivi umanitari dovrebbero essere considerati terroristi?

Negli ultimi tre mesi hanno tentato anche di imputarle nuove accuse. Ha dovuto affrontare affermazioni infondate e assurde, interrogatori coercitivi, umiliazioni, minacce di esecuzione, istigazione e pressioni per una confessione forzata. Sono passati quasi tre mesi dall’inizio dei recenti interrogatori, ma né ai suoi avvocati né a lei è stato concesso il permesso di rivedere il suo caso o di incontrarli. Inoltre attualmente le è negato qualsiasi contatto o visita.

"Ripensando al mio viaggio, mantengo le mie azioni, poiché non ho mai causato il minimo danno alla vita o alla proprietà di nessuno, in nessun luogo o tempo. Il mio unico “crimine” è il mio senso di responsabilità verso la società…" Varishe Moradi.

Bibliografia

Political prisoner Varishe Moradi, sentenced to death by the Tehran Revolutionary Court

@iranianhumanrights (https://telegram.me/iranianhumanrights)