L’Artista di strada palestinese Laila Ajjawi usa l’arte per migliorare la vita dei rifugiati

Nata e cresciuta nel campo profughi di Irbid, l'artista di strada palestinese Laila Ajjawi parla dell'importanza e dell'impatto del suo lavoro.


di Alessandro Costa
18 Apr 2024

Il campo profughi di Irbid è uno dei dieci campi profughi palestinesi ufficialmente riconosciuti dall'UNRWA in Giordania e per le sue dimensioni ricorda una cittadina che ospita circa 30.000 rifugiati, molti dei quali non hanno mai conosciuto una casa al di fuori dei confini del campo. L'artista sceglie di rivolgersi a muri ed edifici squallidi come mezzo di espressione e comunicazione: sono la prima tela a cui i giovani rifugiati siano mai esposti.   

  Laila Ajjawi racconta che l'interesse per la street art inizia quando aveva circa 17 anni, le era stato commissionato di dipingere un murale per una scuola materna e si offriva spesso volontaria per creare arte pubblica con organizzazioni di aiuto umanitario. La passione e le opportunità di potersi esprimere le hanno permesso di iniziare finalmente a notare il potente impatto che la street art può avere.

La sua prima opera di street art è stata proprio esposta nel campo profughi di Irbid, ed era un murale dedicato al suo paese natale, la Palestina. Tutte le persone erano catalizzate su quell'opera legata a quel luogo, facendole capire che l'uso dell'arte come espressione aveva un'impatto reale e diretto sulle persone.

In conseguenza di ciò nel 2014 decise di dedicare totalmente la sua carriera alla street art e ai graffiti. La sua arte è una missione legata alla sopravvivenza dell'identità palestinese che in qualsiasi modo si cerca di cancellare. Lei tende a mantenere vivo il legame tra passato e presente, come rifugiata; attraverso l'arte sente che è suo dovere  proteggere e parlare a nome di coloro che non possono. Ajjawi riesce attraverso il suo lavoro ad inviare messaggi chiari, con colori estremamente strategici basandosi sulla sua personale e profonda conoscenza  del campo profughi.

La creazione di un murales come dice l'artista ha bisogno di valutazione caute, essendo i campi profughi  sovrappopolati e di dimensioni compatte.

L'uso mirato e ponderato dei colori per Ajjawi è fondamentale, ad esempio il rosso non viene usato nei suoi lavori, dato che vedendolo ogni giorno potrebbe influenzare negativamente sul comportamento delle persone, soprattutto dei giovani, quindi cerca di evitarlo. Usa invece i colori dai "toni freddi" o "amichevoli" che promuovono sentimenti di calma, di pace e positività in contrapposizione alla violenza. Studiando attentamente l'opera d'arte in maniera strategica si possono essenzialmente controllare le emozioni degli spettatori che osservano il "murale". In sintesi si fondono le strategie di uno spazio architettonico, dei colori e del contesto per creare opere che accompagnano le persone in una visione che li ispira ad un cambiamento positivo.

Come afferma Ajjawi "l'arte è un linguaggio che chiunque può comprendere", e continua "credo davvero che possa ispirare una certa energia nelle persone". Quando qualcuno  passa davanti ai suoi murales è costretto a pensarci due volte...perchè??? ma perchè pianta un seme nella mente del passante, un seme che potrebbe realmente diventare un pensiero, un sentimento o forse un'azione propositiva.  La forza che Ajjawi riesce a produrre in mezzo a così tante difficoltà con questi murales e' esattamente ciò di cui i rifugiati hanno bisogno per continuare ad andare avanti. La resistenza come ci ricorda la storia in tutto le sue epoche non deve necessariamente implicare violenza, anzi proprio l'arte è un'arma ancora più potente per creare cambiamento.